CULTURA

CULTURA
4 Ottobre 2022 Nicola Moro

Lo sguardo inedito del poeta

a cura di Francesco Sisto

 

“Il mio cuore vuole illuminarsi”: con questo celebre verso di Ungaretti, la poetessa Norah Zapata-Prill ha scelto di inaugurare il V Festival internazionale della poesia, tenutosi ad Ostuni dal 17 al 23 settembre.

In soli sette giorni, intellettuali e artisti, provenienti da tutto il mondo, sono riusciti a regalarci un viaggio nelle profondità dell’animo umano. Un viaggio in chiave romantica, che rapisce lo spirito e i sensi.

I versi dei grandi poeti, infatti, scivolano nelle nostre vite e ci aiutano a comprendere la sostanza del nostro essere, a dare un nome agli stati d’animo e ai bisogni che avvertiamo.

Durante il Festival, le liriche del poeta spagnolo A. Machado, grazie alla sapiente traduzione del professor Lefèvre, sono tornate a raccontarci la malinconia, il bisogno dell’uomo di trovare risposte ad interrogativi esistenziali, il tentativo di fuga in loci amoeni per evadere da una realtà ostile e alienante.

Fin dagli albori della civiltà, amore, dolore, libertà, fierezza, viltà, magnanimità hanno animato versi eterni e giungono a noi, con la stessa intensità e freschezza, attraverso i poemi omerici, le elegie di Saffo.

Per la prima volta nella storia, la poetessa di Lesbo compone i suoi carmi guardando dentro di sé, esplorando il suo mondo interiore ed esalta la bellezza dell’amore, scelto liberamente sopra ogni cosa.

La poesia è la voce dell’animo umano ma non si riduce ad un esercizio interiore, attraversa la realtà offrendone uno sguardo inedito.

Lo dimostrano i versi del poeta ucraino contemporaneo A. Dnistrovyj, al quale è stata dedicata la serata conclusiva del Festival, che raccontano l’esperienza “inattesa” della guerra.

La tragicità dell’evento viene descritta attraverso le immagini di una quotidianità che il conflitto ha irrimediabilmente sconvolto, turbando profondamente la meccanica della vita.

“Prima di dormire sono uscito in strada col bimbo / a guardare il cielo notturno / gli ho mostrato le costellazioni / l’orsa maggiore e minore / orione e il leone / a me lui ha mostrato / come si muovono veloci / simili a stelle / due razzi”.

Gli occhi dell’autore, come uno “specchio”, riflettono una drammatica realtà, consegnataci attraverso parole che “palpitano come vasi sanguigni”.

A distanza di un secolo, tornano attuali i versi di Ungaretti, il poeta soldato della Grande Guerra, che scriveva “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”.

Versi che racchiudono il senso di precarietà dei soldati di tutti i tempi e di ogni schieramento, ma anche la fragilità della vita di ogni uomo.

Nella poesia, infatti, le parole moltiplicano il loro significato e acquistano un carattere universale che supera confini fisici e temporali, diventando patrimonio dell’intera comunità umana.

Dalle maglie dei versi, prendono vita nuovi e grandi ideali che si insinuano nelle menti e, come direbbe Foscolo, ad “egregie cose il forte animo accendono”, ovvero richiamano gli uomini all’impegno civile per realizzare nuovi mondi possibili. E immaginare un mondo migliore è il primo passo per realizzarlo.

La poesia guarda, così, al futuro, diviene un antidoto all’ossidazione della nostra esistenza. È oggi, più che mai, un bisogno e un’urgenza perché, prendendo in prestito le parole del poeta ucraino Anatolij Dnistrovyj, “la poesia è un bellissimo dirigibile, che deve volare nei cieli e planare nelle idee eterne”.

0 Commenti

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*