Un abbraccio e una preghiera
per l’uomo Joseph e il Papa Benedetto
di Ferdinando SALLUSTIO
“L’operaio nella vigna del Signore” ha lasciato questo mondo e si è ricongiunto al Padre. Fu lo stesso Benedetto XVI a definirsi così, rivolgendosi ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro, appena eletto pontefice. La Sua elezione era largamente prevista, poiché Joseph Ratzinger era stato il più stretto collaboratore di San Giovanni Paolo II, e aveva guidato le celebrazioni in occasione della scomparsa di Wojtyla, invitando a seguirne il cammino di Fede comunitario e denunciando quel relativismo morale di chi fabbrica una propria personale immagine di Dio. Il magistero di Benedetto XVI è stato difficile e, a tratti, problematico, come avvenne per il discorso di Ratisbona su “Fede e ragione”, con il richiamo al fatto che “non si può diffondere la fede con la spada”. Il riferimento a Maometto contenuto nella riflessione non aveva alcun contenuto provocatorio, voleva solo sottolineare, come continuava lo stesso discorso, che “la violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima”, ma provocò reazioni, anche violente, da parte di oltranzisti musulmani. Da ricordare anche l’accorato grido di dolore espresso ad Auschwitz nel 2006.
“Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”
Benedetto XVI si è mosso in continuità con il magistero di San Giovanni Paolo II, che è stato, contemporaneamente, custode dei valori della tradizione millenaria apostolica e rivoluzionario.
La rivoluzione più grande avvenne con la rinuncia alla carica di pontefice, fatto senza precedenti in molti secoli, annunciata l’11 febbraio 2013. “Non ho più le forze, perdonatemi” disse il Papa che allora aveva superato l’età in cui San Giovanni Paolo II era scomparso. La scelta del predecessore, gravemente ammalato, era stata diametralmente opposta: Wojtyla restò in carica fino all’ultimo, in preda ad immane sofferenza.
Ma le due testimonianze opposte non sono in contraddizione: sono entrambe espressione della libertà che il Signore ci dona nell’esprimere e nel comunicare la gioia di essere Suoi figli.
Anche l’inedita compresenza del Papa emerito e del successore, Papa Francesco, è stata delicata ed affettuosa.
Un abbraccio e una preghiera per l’uomo Joseph e il Papa Benedetto.