Commento al vangelo di LUCA DE FEO

Commento al vangelo di LUCA DE FEO
26 Ottobre 2025 loscudo_admin

XXX domenica per annum C

Due uomini salirono al tempio…

solo uno discese reso giusto

 

(Lc 18,10.14)

 

Concludendo la parabola “del giudice iniquo e della vedova” (Lc 18,1-8) Gesù aveva chiesto Ma il Figlio dell’uomo venendo troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8b). Subito dopo disse ancora questa parabola (quella “del fariseo e del pubblicano al tempio” – Lc 18.9-14) per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri (Lc 18,9) precisando cosa intendesse per trovare la fede sulla terra e ribadendo la reciproca relazione fra misura della fede e misura della preghiera.

Sia il fariseo sia il pubblicano non sono personaggi reali, ma figure sulle quali i discepoli sono chiamati a misurare fede e preghiera. Il modo di pregare, infatti – a cominciare dal nostro – rivela qualcosa di là della preghiera stessa, rivela la comprensione dell’esistenza sia in relazione a Dio (l’Altro) sia in relazione al prossimo (l’altro); rivela le profondità del cuore.

All’inizio del racconto ci sono solo due uomini che salgono al tempio a pregare (Lc 18,10), entrambi alla ricerca dell’incontro con Dio; una volta nel tempio, però, mentre pregano, si rivelano diversi non per le differenze della vita sociale e politica, ma nel loro porsi davanti a Dio, essere rivolti a lui (Gv 1,1).

Il fariseo stando in piedi rivolto a se stesso pregava (Lc 18,11): si rivela incapace di uscire da se stesso per incontrare il “totalmente altro”; più che ringraziare Dio non per le grandi opere che compie in lui (Lc 1,49), gli parla delle opere che lui (il fariseo) sa compiere (Lc 18,12); non invoca Dio, ma convinto di essere giusto si ritrova separato da Dio e si separa dagli uomini verso il quali si erge come giudice (Lc 18,11; Gen 3,12); per lui Dio non è il Padre di tutti, ma un notaio che deve solo certificare la sua “bravura”, il suo applicare formalmente la Legge.

Il pubblicano invece fermandosi a distanza non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo (Lc 18,13): non pretende di stare al primo posto (cf. Lc 11,43; 14,7-11); sta a distanza da Dio perché si riconosce peccatore, ma sta anche a distanza da se stesso senza autogiustificarsi; avverte il bisogno di cambiare e nulla pretende da Dio. Si affida al suo amore e semplicemente invoca: O Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13b).

Questo pregare del pubblicano diviene la preghiera del povero che attraversa le nubi e non si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti (Sir 35,21-22)

 Di fronte all’abbi pietà di me peccatore del pubblicano, Dio si rivela colui che fa giustizia in un istante (Lc 18,7). Gesù, infatti, conclude la parabola annotando: Io vi dico: questi, (il pubblicano) a differenza dell’altro (il fariseo), discese a casa sua reso giusto, perché chiunque si umilia sarà esaltato, chi invece si esalta sarà umiliato (Lc 18,14).

“L’unico modo di porsi di fronte a Dio nella preghiera – e, ancor prima, nella vita – è quello di sentirsi bisognosi del suo perdono e del suo amore” (B. MAGGIONI) tutto affidando alla sua misericordia. Le opere buone vanno fatte, ma con l’umiltà di chi sa di tutto dovere all’opera buona di Dio che lo ha salvato in Gesù Cristo; e senza mai pensare a chi sembrerebbe non farle.

0 Commenti

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*